Pensieri felici. Sono quelli che ti permettono di alzarti in volo. D'accordo, anche una spruzzatina di fata, ma l'importante è dimenticare tutto questo. E questo è: il mondo degli adulti, la pesantezza dell'essere vecchi. E' il Peter Pan-pensiero, cent'anni di vita, ma che attualità ancora. La storia del bambino che non voleva crescere, nata dalla penna dello scozzese James Barrie nel 1906 (ma già due anni prima sulle scene teatrali londinesi del Duke of York's Theatre), ha accompagnato generazioni, ispirato scrittori e registi, prestato il proprio nome per definire psicoanaliticamente una sindrome tipica del Novecento e del moderno si dice, ma ancora più calzante a definire il nostro oggi così adolescenziale. Questa storia arriva per la prima volta sul grande schermo (dal 2 aprile, in 230 sale, distribuito da Columbia) col colossal dell'australiano P. J. Hogan (quello del matrimonio del mio migliore amico). La prima volta, è bene ricordare, con attori in carne ossa, visto che celebre fu il cartoon Disney del 1953, Le avventure di Peter Pan diretto da Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske.
Il Peter Pan di Hogan, fedele al testo di Barrie ma con una nota più sensuale e, quasi un'eresia a dirsi, più 'adulta', è interpretato dal quattordicenne inglese Jeremy Sumpter. Wendy, la raccontatrice di storie 'rapita' dal folletto, è Rachel Hurd-Wood, mentre Capitan Uncino è Jason Isaacs, il Lucius Malfoy di "Harry Potter e la camera dei segreti" e, come vuole la tradizione teatrale, anche padre di Wendy. Infine Campanellino ha la faccia dispettosa e smorfiosa della rivelazione francese Ludivine Sagnier, quella di "Otto donne" e "Swimming Pool", qui una gelosa ma alla resa dei conti generosa fatina che accompagna Peter Pan nei suoi viaggi tra gli incanti onirici dell'Isola che non c'è e la rigida immobilità dell'Inghilterra edoardiana.

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